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NAVIGHIAMO ALLA PRAMZÀNA

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venerdì 19 ottobre 2012

QUANDO A DETTARE LA STRATEGIA COMUNICATIVA FU CRISTIANO LUCARELLI…

Riflessioni di Gabriele Majo sui rapporti con la stampa del Parma FC di oggi dal post Catania in poi e le differenze con quando si trattò di preparare due vere partite della vita: gli spareggi col Bologna…

DSC08077(gmajo) – Tanto per chiarire subito quale possa essere il peso di un qualsiasi responsabile della comunicazione all’interno di una certa società di calcio, confesserò subito che, nell’anno del mio ultimo mandato al Parma FC, quello in serie B, anziché seguire la linea suggerita dal sottoscritto di continuare a tenere regolari appuntamenti quotidiani con la stampa, si preferì adottare il lodo Lucarelli (Cristiano) il quale chiese ed ottenne dalla proprietà e dal suo management di diluire i question time un giorno sì e un giorno no. Se poi si pensa che l’allenatore parlava ad inizio e fine settimana, se ne deduce che solo a un singolo calciatore a settimana toccava la fatica di accomodarsi in sala meeting. Certo Cristianone quale editore di un giornale nella sua Livorno poteva essere considerato un esperto di comunicazione, ma a quel punto anziché fargli fare il centravanti avrebbero potuto metterlo direttamente dietro la scrivania nello sgabuzzino dell’ufficio stampa... Sì, certo, i due stipendi erano un attimino differenti, ma sono solo quisquilie. Questo amarcord per dire che non credo assolutamente che possa essere stata di Maria Luisa Rancati la scelta, a mio giudizio controproducente, di limitare gli appuntamenti stampa al Centro Sportivo di Collecchio nel periodo dal post Catania in poi.

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Questa mia convinzione mi aiuta a superare l’imbarazzo dello scrivere di queste tematiche: infatti eventuali critiche che dovessero emergere nel prosieguo della lettura, non sono da addebitarsi a chi oggi nell’organigramma societario occupa la stessa posizione da me tenuta per cinque stagioni dal 2004 al 2009, ma a chi non ne terrebbe in debita considerazione gli eventuali consigli. Offrirò adesso un ulteriore revival: al termine della regular season 2004-2005 il Parma calcio ottenne 42 punti in classifica e fu costretto allo spareggio con il Bologna, che sarebbe valso il mantenimento della categoria. Nel caso dei crociati, poi – che erano in amministrazione straordinaria dopo il post crac Parmalat – si trattava di una vera e propria questione di vita o di morte, perché in caso di declassamento il già difficile salvataggio sarebbe stato impossibile. Va da sé che in vista di quel duplice appuntamento i vertici della società – il commissario Bondi, il presidente Angiolini e l’AD Baraldi – non vollero trascurare il benché minimo dettaglio per centrare l’obiettivo. Al sottoscritto, al quale l’estate precedente era stato conferito l’incarico di “coordinatore della comunicazione”, venne chiesto come programmare quelle settimane. E, per i motivi pocanzi ricordati, non potevo certo concedermi il lusso di sbagliare. La “componente sportiva” (il diesse Oreste Cinquini e il team manager Lorenzo Minotti) spingeva per una limitazione degli appuntamenti, se non addirittura per il “silenzio stampa”, io, controbattei con una relazione scritta nella quale, al contrario, suggerivo la massima apertura, spiegandone i motivi della convenienza. E venni ascoltato. Su tutta la linea. Dal momento che il presidente Ghirardi, con una eccessiva iperbole, ha trasformato quella di domenica contro la Sampdoria nella partita della vita – anche se siamo ben lontani dalle due partite della vita che quel Parma dovette davvero disputare contro il Bologna – ritengo che le mie parole di allora possano valere anche oggi. Quella relazione era lunga quattro cartelle: di seguito ne riporterò solo le componenti essenziali. Vale a dire il paragrafo intitolato STRATEGIE.

“Diventa difficile ottenere dei  favori dalla stampa, (specie nei momenti di bisogno), se si offre l’impressione di chiusura o mancata disponibilità. Al contrario è meglio offrire l’impressione di apertura e disponibilità. Parlo di  impressione non a caso, in quanto quella che viene recepita, da entrambe le parti, spesso non è una realtà sostanziale, ma appunto una impressione. C’è, soprattutto all’interno della componente tecnica della Società, chi sostiene che per come ci stiamo comportando attualmente saremmo degli “zerbini dei giornalisti”, e vedrebbe di buon occhio chiusure, restrizioni e barriere architettoniche per aumentare il distacco da loro. Se non mi trovo d’accordo non è per la mia estrazione professionale, quanto perché ritengo controproducente questo tipo di strategia al fine di ottenere una buona immagine della Società sui media. Al contrario reputo più funzionale una sana trasparenza, ed una apertura ragionata nei loro confronti. Apertura che non deve essere considerata una anarchia. Se, ad esempio, offriamo ai giornalisti due interlocutori al giorno in sala stampa otteniamo un duplice effetto: quello di offrire l’impressione di essere una Società aperta, disponibile e che li accontenta, e quello di evitare che i giornalisti scavino in profondità alla ricerca di magagne, o che scrivano altre cose scomode di testa loro. Più parliamo noi, meno scrivono loro. Abbiamo la fortuna di avere a che fare con una stampa non agguerrita come in altre piazze e spesso in letargo: perché dovremmo, noi per primi, commettere l’autogol di andare a risvegliarli? Andare a scavare è nell’istinto del giornalista: più si cerca di nascondere (spesso male) una verità e più questa viene a galla. E’ meglio controllare la fuoriuscita di notizie indesiderate, facendo uscire noi per primi le notizie nei modi e nelle forme che più ci convengono. L’esempio sono i bollettini medici e notiziari, da noi proposti in una maniera troppo fumosa, (e quindi sospetta agli occhi del giornalista) anche per le informazioni più banali. Una sana glasnost non solo renderebbe più credibile la Società, ma eviterebbe il risveglio del giornalista-scavatore. Se per primi offrissimo una nostra credibile verità eviteremmo che le tante, troppe talpe che sono tra di noi, facessero dei danni mettendo in circolazione altre verità più scomode. Spesso sento ripetere: “alla Juventus fanno così, al Milan fanno così”: io credo che nessun modello, neppure quello di Società così autorevoli, possa essere trapiantato con successo sulla piazza di Parma”…

Poi passai ad analizzare, nei dettagli, le varie situazioni: sempre per brevità riporto i due paragrafi dedicati alle interviste quotidiane in sala stampa e al silenzio stampa.

Interviste quotidiana in sala stampa: per le ragioni già sopra esposte il mio suggerimento è quello di continuare a mettere a disposizione dei media uno o due tesserati quotidianamente. Non credo si tratti di uno sforzo sovra-umano per i calciatori, dai quali sarebbe auspicabile, anzi, una maggiore collaborazione. In fin dei conti si tratta di un rito che si consuma nel giro di pochi minuti. Purtroppo il loro problema è la mancanza di educazione e sensibilità ai media: i dirigenti per primi dovrebbero trasmettergliela, anziché contribuire al consolidamento della loro fallace convinzione che le interviste siano solo una inutile rottura di scatole.

Silenzio stampa: pur nel rispetto delle convinzioni altrui ritengo che questa sia, ovviamente, non solo la peggior forma di comunicazione, ma anche il miglior sistema per offrire armi al nemico. E’ evidente che se nessuno parla il giornalista scrive di testa sua, e questo può causare maggiori danni…”

Eravamo a giugno 2005, io avevo il contratto in scadenza il 30, eppure non mi tirai certo indietro nell’esporre idee e concetti magari anche normali, ma rivoluzionari per il chiuso mondo del calcio: in quei tempi, però, ebbi la fortuna di avere a che fare con persone di un certo spessore umano e professionale, anche se spesso venivano criticati proprio per la loro estraneità al mondo del calcio... Sentii, comunque, in dovere di chiudere quella relazione con le seguenti parole: “La presente esposizione, nonostante i riferimenti precisi a situazioni accadute, non vuole essere, né spero sarà interpretata,come un atto d’accusa verso qualcuno: è solo un modo per mettere al servizio della Società che mi paga per farlo, i suggerimento che scaturiscono dalla mia esperienza giornalistica”. Penso che questo documento sia la dimostrazione lampante del ruolo di “Grillo Parlante” da me interpretato all’interno della società: ma contiene  tanti concetti e tante parole (una per tutte “glasnost”) che spesso si leggono su stadiotardini.com, dove il medesimo ruolo di “Grillo Parlante” viene da me attualmente interpretato dall’esterno. Facendo una metafora sportiva, allora facevo il portiere, adesso l’attaccante. E non so quanti palloni mi arrivano sul dischetto, senza andare a cercarli. Allora, all’interno del Parma 2004-05 – proprietà e management che mi aveva scelto a parte – ero ben visto fino lì, proprio per i miei freschi trascorsi giornalistici “senza peli”. E lo si evince bene dalla premessa di quel documento, esemplare del mio modo di essere e di lavorare: “Nell’accettare l’incarico di ‘Coordinatore della Comunicazione’ che Parma Fc mi aveva proposto la scorsa estate, mi ero posto come obiettivo quello di avvicinare quanto più possibile due realtà sempre contrapposte: la Società di calcio, in tutte le sue componenti, e i mass media. Non a caso, da entrambe le fazioni, mi veniva fatto notare che ero passato “dall’altra parte della barricata”. Barricata è un vocabolo che in genere fa venire in mente la guerra, le battaglie: il mio intendimento era quello di raggiungere per lo meno una ‘tregua’ tra le parti, nella convinzione che questo periodo di pace potesse giovare ad entrambe. Si può obiettare che il compenso per ,la mia opera viene corrisposto da una sola di queste parti, cioè la Società di Calcio e che quindi devo fare l’interesse esclusivo di questa: ebbene per poter svolgere la missione che mi è stata contrattualmente affidata (‘individuazione ed attuazione di efficaci strategie di comunicazione, tali da realizzare la propria massima visibilità sui media’) è necessario che ci sia tra le parti un clima di reciproca fiducia e collaborazione. Per questo mi sono sempre prodigato per fare capire, all’una e all’altra le rispettive esigenze”.

Ma torniamo ai giorni nostri: “Più parliamo noi, meno scrivono loro”, suggerivo nel lontano giugno 2005: la strategia voluta dai piani alti del Parma FC dal post Catania in poi è diametralmente opposta a quella veduta. O meglio: il Parma, in questo lasso di tempo ha parlato – e parecchio – ma con interlocutori tipo Ghirardi e Leonardi che non lesinano mai frasi da titolo o polemiche. Quella che è venuta meno, invece, è l’aria fritta delle conferenze stampa dei giocatori, utile, per il club, per far riempire lo spazio sui giornali, senza che scrivano di testa loro i giornalisti. L’unico calciatore che ha parlato in sala stampa dopo Catania è stato Jonathan Biabiany l’altro ieri. Parolo, invece, si era concesso a Piovani, per la Gazzetta di Parma, durante una festa di club (quella di Noceto).  L’allenatore, poi, non si è mai accomodato in sala conferenze, ma, sempre il quotidiano UPI, attraverso il proprio collaboratore Andrea Del Bue, era riuscito ad estorcergli la conferma che il suo contratto sarà biennale. Ho usato il verbo “estorcere” perché teoricamente Del Bue avrebbe dovuto limitarsi a chiacchierare della interessante visita in Biblioteca dell’allenatore, del suo staff e di una aliquota di calciatori, fruttata a Marco Vasini di Repubblica una galleria fotografica artistico-professionale. Certo se all’evento (che era pubblico e non privato) fossero stati invitati tutti i media della piazza sarebbe stato meglio. Così le dichiarazioni non autorizzate di Donadoni o sarebbero state appannaggio di tutti o di nessuno. Sempre in questo strano post-sconfitta di Catania avevano parlato con Sky (a parte il presidente), la scorsa settimana, Belfodil, Galloppa ed Amauri: pare che Leonardi non fosse molto convinto di ospitare la fly di Sky (che si ricorda spesso, durante la sosta del campionato di serie A anche di squadre minori), di parere opposto Ghirardi che ne aveva approfittato per mettere il faccione. Espressione gergale (“mettere il faccione”) assai di moda negli studi televisivi milanesi: non c’è ovviamente alcun riferimento con le dimensioni del viso del padrone del Parma calcio. “Più parliamo noi, meno scrivono loro”: se non ci fosse stato questo anomalo silenzio stampa parziale (addizionato alle porte chiuse, supponiamo per nascondere ad eventuali emissari Samp il probabile passaggio alla difesa a 4) , probabilmente oggi il buon Sandrone Piovani, da noi stesso ribattezzato il biografo di Ghirardi, nonché giornalista del quotidiano appartenente all’UPI, si sarebbe potuto risparmiare qualche piccola frecciatina agli amici di Collecchio, dando spazio all’innocua tradizionale aria fritta.  Non so come la pensiate voi, ma per me è un vero e proprio autogol comunicazionale concedere perfino alla stampa amica di poter attingere all’ironia per farsi mettere alla berlina… Gabriele Majo

2 commenti:

Dino Pampari ha detto...

Ciao Gabriele, una volta appurato il ruolo della "Responsabile Area Comunicazione e Ufficio Stampa" sarebbe veramente utile se tu ci aiutassi a capire quale sia quello del "Responsabile Relazioni Esterne".

un giornalista che con Majo ha spesso litigato tempo addietro ha detto...

analisi strategica perfetta e precisa. Soprattutto a Parma, dove per mille motivi i giornalisti sportivi non scavano. O si voltano dell'altra parte. Si parte con una pagina vuota: se c'è fuffa, si mette fuffa, tanto la dice un giocatore. Se non c'è nemmeno la fuffa, si scava e si fa il titolo. E qualcuno se la prende.
Se la gente sapesse, caro Majo, tette le volte in cui, strenuamente, da addetto stampa (responsabile, ma vabbè) hai cercato di insabbiare le cose per salvare la faccia di chi poi ti ha pugnalato, forse capirebbe. Altro che pescare nel torbido...
Comunque, proprio per questo, mi hai spesso fatto incazzare. Ma hai anche avuto l'onestà di fare un passo indietro quando dovevi. Chapeau.